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  19 Aprile 2024
08/05/2014 di Irene Piroli

La Scuola Mevalese: gli Angelucci pittori e intagliatori

La Scuola Mevalese
La Scuola Mevalese
Mevale è un piccolo centro montano situato in Alta Valnerina a circa 800 metri di altitudine, distante dal comune di Visso una ventina di chilometri. Il piccolo villaggio è stato quasi interamente distrutto dal terremoto che colpì Umbria e Marche nel 1997, ma oggi è in fase di realizzazione un progetto finanziato dalla Regione Marche riguardante il consolidamento e la valorizzazione dell' antico castello-torre e l'intera ricostruzione del borgo medievale così com'era. L'esistenza di questa località inizia ad entrare nella "storia" nel Medioevo, quando diviene proprietà dei conti di Alviano, famiglia di origine germanica che giunse in Italia a seguito dell'imperatore Ottone III, e che per lungo tempo restò proprietaria di questo e di altri castelli dislocati in posizione strategica lungo la Valnerina. La signoria alvianese aveva eletto Mevale a sede centrale del feudo e da qui amministrava la giurisdizione civile, penale e l'ordinamento militare, cercando di aumentarne sempre di più la posizione di prestigio rispetto agli altri castelli. Per raggiungere tale scopo, gli Alviano, concentrarono le loro attenzioni soprattutto sulla chiesa del castello (oggi Pieve) ingrandendola e facendola diventare meta di continui pellegrinaggi. La Pieve di Santa Maria ha, infatti, origini umili. Fu costruita in stile romanico nel 1101 come inciso sul campanile ricavato da una vecchia torre di vedetta, e ampliata nel 1205 per volere dei conti a tre navate, in forme gotiche, con l'aggiunta del portico laterale (Immagine 1). Gli Alviano non si occuparono però soltanto dell'architettura della chiesa, ma anche di creare attorno ad essa e al loro castello un´aura mitico - religiosa attraverso il racconto dell'evento prodigioso del trasporto della duecentesca tavola della Madonna del Monte nella chiesa della Fonte di Mevale. Si narra, infatti, che la tavola romanico - bizantina raffigurante una Madonna con Bambino conservata nella chiesetta del Monte, a poca distanza da Mevale e a confine con altri paesi rivali, comparve trasportata da angeli nella chiesetta della Fonte del Borgo dello stesso paese.
L'eco del prodigio si sparse velocemente tra i castelli confinanti, e gli Alviano per proteggere l'icona e aumentare il lustro della famiglia e quello del loro possedimento, la fecero trasportare all'interno della chiesa del loro castello ingrandendola e organizzando una festa annuale con giostre, tornei e corse di cavalli. Oggi la tavola è conservata nel Museo di Visso (Immagine 2). Con la fine delle signorie la famiglia Alviano andò lentamente scomparendo e Mevale si trasformò in un territorio continuamente conteso tra Spoleto e Norcia, fino al 1390 quando divenne ufficialmente possesso di quest'ultima e si mantenne per lungo tempo un tranquillo castello di montagna. Già alla fine del ‘400 però il villaggio tornò ad essere luogo frequentato dagli artisti che affrescarono nella Pieve. In particolare tra questi sono da menzionare gli allievi della scuola di Paolo da Visso: Benedetto di Marco di Castelsantangelo sul Nera, Tommaso di Pietro da Visso e Paolo Bontulli da Percanestro che realizzarono in particolare affreschi di Madonne con Bambino, santi e crocifissioni nella navata centrale della chiesa, e nella parete destra (entrando dalla porta laterale) l'affresco raffigurante il Torneo di cavalieri. Databile al 1492, ci racconta scene di vita medievale all'interno del castello Alvianese con danze, tornei, giostre, dame e cavalieri ma anche le manifestazioni religiose che venivano organizzate dai conti in onore dell'Icona conservata nella chiesa. Tra il 1492 e il 1495 si trattenne a Mevale anche Giovanni di Giampietro da Venezia, scultore veneto che realizzò il portale rinascimentale e la statua della Vergine con Bambino situata nella lunetta dello stesso e oggi anch'essa conservata al Museo di Visso (Immagine 3 e 4).
Si registra dunque un intenso fermento artistico in un così piccolo e remoto villaggio di montagna, che permane anche negli anni seguenti grazie ad una generazione di artisti nativa proprio di Mevale, gli Angelucci. Il capostipite di questa famiglia fu Gaspare Angelucci, padre di Camillo e Fabio, quest'ultimo fu aiutato a sua volta in alcune commesse dal nipote Ascanio Poggini. Pittori e intagliatori operarono per circa un secolo tra i comuni di Visso, Ussita, Castelsantangelo sul Nera, Pievetorina, Camerino e in Umbria a Cascia, Norcia, Trevi, Spoleto oltre che nella stessa Pieve di Mevale. Tra le loro opere menzionerò in particolare quelle marchigiane, parlando di quelle umbre solo se particolarmente importanti. La famiglia mevalese lasciò la sua "firma" in tempi diversi sulle pareti della locale Pieve. Proprio sopra il portale d'ingresso, vi è un grande affresco con il Giudizio Universale (Immagine 5 - particolare) realizzato nel 1600 da Fabio Angelucci e dal nipote Ascanio Poggini, che pur non avvicinandosi nemmeno lontanamente al michelangiolesco "Giudizio Universale" della Cappella Sistina (visionato sicuramente a lungo dal pittore mevalese) attira comunque lo sguardo del visitatore per le sue dimensioni. Gli affreschi con la Deposizione (Immagine 6) e la Trinità raffigurati all'interno dei finti nicchioni della chiesa sono attribuiti a Camillo, mentre del padre Gaspare è l'affresco della Madonna con Bambino totalmente ricomposto sulla parete, durante il restauro degli anni '80, perché frantumato. A testimonianza invece della sua attività d´intagliatore nel museo di Visso é conservata oggi l'edicola lignea con i Santi Pietro e Paolo che conteneva la tavola della Madonna del Monte all´interno del sacello appositamente ricavato nella chiesa di Mevale. Gli Angelucci però non lasciarono ricordo della loro pittura solo nel loro paese natio, ma anche altrove. Il padre Gaspare, capostipite della dinastia, è sicuramente l'artista più interessante della famiglia, infatti, si può immaginare che con ogni probabilità da bambino ebbe modo di seguire gli artisti che lavorarono nella Pieve e forse anche di potersi inserire in una delle loro botteghe spostandosi da Mevale, passando per Visso, arrivando fino a Perugia e infine anche a Roma, dove ebbe modo di frequentare la bottega di Raffaello e di ammirare sicuramente le opere di Michelangelo.
Tornato in patria portò l'esempio della scuola romana in Valnerina, divendone uno dei maggiori esponenti. Di lui si conoscono poche opere pittoriche, la più famosa considerata il capolavoro della dinastia degli Angelucci, è forse un olio su tavola eseguito a due mani insieme al figlio Camillo tra il 1545 e il 1547, conosciuta come la Tavola della Pace casciana conservata nella Collegiata di Cascia (Immagine 7). Oltre a quest´opera altre due degne di nota sono conservate nel Museo di Visso: una Madonna con Bambino e i santi Andrea e Sebastiano (Immagine 8), eseguita solo di sua mano, firmata e datata "Gaspar Mevalanus faciebat 1538", e una pala con tabernacolo raffigurante L' Eterno, i santi Pietro e Paolo, altri apostoli ed episodi della vita di Gesú (Immagine 9) eseguita con Camillo nel 1549.
Questa è l'ultima opera in cui appare la firma di Gaspare. L'artista mevalese non si occupava soltanto della parte pittorica, ma anche e sopratutto del lavoro d´intaglio del legno costruendo tabernacoli, cornici, altari, con i quali "completava" le opere pittoriche, pulpiti, ma anche mobili per la casa per sostentarsi nei periodi in cui le commissioni erano più scarse o durante l'inverno in cui non si affrescava. Come già accennato anche i figli Camillo e Fabio, si applicarono nell'arte dell´intaglio del legno e nella pittura.
Camillo fu attivo tra il 1540 e il 1585 e lavorò in vari comuni della Valnerina a volte individualmente, altre volte insieme al padre o al fratello minore, ispirandosi oltre che ai lavori paterni anche alla pittura di Giovanni di Pietro detto lo Spagna e di Pietro Vannucci, conosciuto come il Perugino.
Molto più abile nella scultura lignea che nella pittura (forse perché quest´ultima era meno redditizia e quindi più trascurata) realizzò intorno alla metà del XVI secolo tre tabernacoli lignei, oggi visibili nel Museo di Visso, per le chiese delle località di Mevale, Croce e Aschio. Tutti sono realizzati con un fine lavoro di intaglio e con miniature dipinte rappresentanti prevalentemente il Cristo Risorto, gli apostoli Pietro e Paolo e angeli. Per quanto riguarda la pittura, oltre alle già citate opere di Mevale, Cascia e Visso ancora nel museo, un tempo chiesa di Sant´Agostino, troviamo un affresco rappresentante Cristo Crocifisso e i santi Monica, Agostino e Nicola da Tolentino eseguito come riporta la scritta nell´agosto del 1574.
Di maggior impegno pittorico è la tavola con la Crocifissione, Madonna e santi (Immagine 10) del 1583, eseguita originalmente per l´oratorio di Mevale e oggi anch'essa all´interno del museo.
Nella Collegiata di Visso eseguì nel 1555 l'affresco con la Madonna del Rosario con Bambino, i santi Domenico e Caterina, altri santi con attorno i Misteri del Rosario iconografia molto in voga all´epoca. Nel 1573 realizzò quello che è considerato il suo capolavoro: la Visitazione della Madonna a Santa Elisabetta, un olio su tavola che si trova nel Monastero di San Giacomo di Cerreto di Spoleto, sul quale è dipinta in un cartiglio la scritta "Camillus Angelutius mevalensis pictor faciebat Anno D.ni 1573". Uno degli ultimi dipinti che attribuiamo alla paternità di Camillo è rintracciabile ad Ussita ed è un´Assunzione conservata nella Pieve (Chiesa di SS. Maria Assunta), realizzata nel 1584 insieme al fratello Fabio. Il minore dei fratelli Angelucci, Fabio, fu attivo in base alle opere firmate e datate tra il 1568 e il 1603, operando molto spesso insieme al nipote Ascanio Poggini, ultimo e mediocre rappresentante della scuola mevalese attivo fin verso il 1620.
Realizzata nel 1603, è quella che è considerata la migliore opera di Fabio: una tela eseguita insieme al nipote per l' altare maggiore della Chiesa di Santo Spirito di Castelsantangelo sul Nera e raffigurante la Pentecoste. Ancora insieme al nipote, un anno prima, sempre a Castelsantangelo, dipinse su incarico della Confraternita della Misericordia il catino dell' abside della chiesa di San Sebastiano, situata nella piazza centrale. In alto raffigurò L' Eterno benedicente circondato da angeli e i quattro Evangelisti e nelle finte nicchie laterali i Profeti (Immagine 11). Coprì la parete di fondo dell' abside con l' affresco della Deposizione dalla Croce. Fabio aveva però già lavorato da solo in questa chiesa nel 1589, realizzando su una parete un altare dipinto, oggi abbastanza deteriorato, inquadrante un finto nicchione con all' interno da sinistra a destra tre sante con i rispettivi simboli: S. Lucia con gli occhi nella coppa, S. Margherita con la croce e il drago e S. Apollonia con le tenaglie (Immagine 12). L' altare è dedicato a Santa Margherita a seguito del voto che la Guaita di Castelsantangelo fece per aver vinto nel 1522 la Battaglia del Pian Perduto contro i nursini proprio nel giorno dedicato alla santa, il 20 luglio. Nella chiesa del cimitero dello stesso comune, denominata Santa Maria Apparente, si trovano degli affreschi attribuibili alla scuola mevalese rappresentanti la Madonna del Rosario con i 15 misteri nelle formelle che le fanno da cornice, uno dei temi più rappresentati dagli Angelucci, e ai lati S. Antonio Abate e una santa martire. Il tutto è inserito in una finta architettura, caratterizzata da colonne, architravi e capitelli. In corrispondenza dei vari affreschi sono dipinte alcune iscrizioni che riportano le date 1592 e 1600 e i nomi dei vari committenti. Altri modesti affreschi, frutto della collaborazione tra lo zio e il nipote Ascanio, sono visibili in alcune chiese delle frazioni di Visso, tra essi in particolare una tavola nella parrocchiale di Riofreddo, un' altra Madonna del Rosario del 1583 e un Cristo Crocifisso, Madonna e San Giovanni Evangelista (Immagine 13) inseriti in finte arcate nella Pieve di Fematre e nella chiesa di S. Stefano di Croce affreschi con scene della lapidazione del santo martire. In quest' ultimo paesino vi è anche un' altra chiesetta, intitolata appunto alla Santa Croce, nella quale dopo gli ultimi restauri è tornato alla luce in una nicchia sulla parete destra un affresco di Fabio firmato e datato 1588, rappresentante da sinistra Sant' Agostino, Santo Stefano e San Domenico. Spostandoci dalle Marche all' Umbria e andando indietro nel percorso di formazione di Fabio, nel 1575 lo troviamo impegnato a lavorare nella parrocchiale di San Giacomo di Spoleto, dove affrescò la Deposizione dalla Croce, sul modello di quella di Rosso Fiorentino, ripresa poi dal Barocci e dal Volterra. Un anno prima Fabio si trovava a Trevi, nel santuario della Madonna delle Lacrime, dove stava lavorando alla decorazione delle tombe dei conti Valenti. Nella stessa chiesa si trovano affrescati un "Presepio" del Perugino e una "Deposizione" dello Spagna, a dimostrazione del fatto che Fabio doveva essere considerato all' altezza di poter lavorare accanto ad opere di tali importanti artisti.
Al 1570 risale la collaborazione con il fratello Camillo, che a più riprese durò fino all' 84, per la realizzazione della bellissima decorazione del santuario della Madonna della Neve di Norcia, andato purtroppo distrutto durante il terremoto del 1979. Arriviamo dunque infine al 1568, data che è associata alla fine del suo anonimato e alla realizzazione della sue prime opere finora conosciute, un trittico con L' Assunzione della Madonna e santi nel refettorio dell' ex-convento della SS. Trinità di Spoleto e nella stessa città la decorazione della Cappella dei Santi Innocenti nella Chiesa romanica di S. Gregorio. Molte delle opere di quest' ultimo rappresentante della scuola di Mevale sono contrassegnate dalla sua lunga permanenza a Roma, forse come aiuto nella bottega di qualche affermato artista e dalla visione delle opere di artisti quali Raffaello, Michelangelo e Pinturicchio. Questo, unito alla stima di cui godevano in patria gli altri due Angelucci, lo resero in grado di farsi commissionare, accettare e realizzare i primi importanti incarichi di Spoleto e di "farsi un nome" tra gli artisti umbri e marchigiani dell' epoca.

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