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  27 Luglio 2024
05/06/2014 di Demetrio Minuto

La mostra dei papi della speranza


Volutamente ho inteso dividere la mostra che si sta svolgendo in Roma Castel Sant´ Angelo (figura 1) in due parti, in quanto la stessa abbraccia un periodo storico, politico e culturale nel quale si sono svolti ben quattro giubilei. È il periodo che abbraccia i giubilei dal 1575 al Giubileo del 1650. In questo arco temporale si sono succeduti vari papi da Gregorio VII a Clemente IX. La politica in Europa nell´arco di quasi cento anni ha peraltro vissuto stravolgimenti incredibili e con essa il tessuto culturale ed economico sottostante o sovrastante, a seconda di chi privilegia il primato della politica sull´economia e quanto gravita intorno ad essa o viceversa.
È mai possibile pensare che l´espressione artistica sia avulsa da detti temi? Non credo, come non credo che sia possibile non contestualizzare l´arte con il periodo storico nel quale ha trovato forma ed espressione.
Ho pertanto deciso di trattare la mostra in primo luogo coinvolgendo i primi Giubilei del 500 non presenti nella mostra e successivamente il periodo dei giubilei del 1575 e del 1600 e successivamente in altro prossimo articolo, il periodo dei giubilei del 1625 e del 1650 e relative opere pittoriche esposte. Opere importanti per gli spunti di riflessione che erano in grado di fornire.
Ritengo che la "location" di Castel Sant´ Angelo sia stata scelta in quanto luogo capace di attrarre l´attenzione di molti turisti, essendo Castel Sant´Angelo all´estero tanto conosciuto, quanto il Colosseo, forse con l´eccezione del SIgnor Obama e suo staff. Dario Francescini forse poteva indirizzarlo. Senza detto lavoro, seppur prolisso, non si comprende il tema della mostra.
La mostra, esponendo una serie di manoscritti (trattati teologici, scientifici) e quant´altro messi dalla Santa Sede, in visione, in teche di cui si apprezza la sola copertina, ma non in lettura, per ovvi motivi, legati alla conservazione degli stessi, oltre a pregevoli opere scultorie, e dipinti si è tenuta in un manufatto sinceramente poco adatto ad una mostra, soprattutto perché l´angusto e tetro fortilizio, anche sede di luogo di pena oltre che bastione di difesa, nel gioco delle luci non poteva rendere merito alle opere, o ai percorsi di storia e d´arte ivi esposti. Scarsissima peraltro la sorveglianza o gli addetti alle spiegazioni.
Peraltro Castel Sant´Angelo è l´emblema più netto e spudoratamente marcato di ciò che rappresentò il potere "politico" dei papi e le contraddizioni della Chiesa unitamente al suo bisogno di ricerca di religiosità apostatica dei popoli, e quindi antitetica con la religiosità in quanto tale.
Nel periodo storico che riguarda la mostra, Castel Sant´Angelo, che univa ed unisce non solo idealmente ma di fatto, lo Stato Pontificio con la Roma dei grandi palazzi nobiliari e delle famiglie le cui arti e mestieri furono messi anche al servizio dei papi, banchieri, architetti, latifondisti o più semplicemente orafi, bottegai e quant´altro, il tutto attraverso il ponte che porta il nome del Castello, fu dopo il famigerato "Sacco di Roma", oggetto di attenzione di vari Papi che ritroviamo anche rappresentati in busto scultorio nella mostra (o perlomeno alcuni di essi).
Luogo sicuro perché sempre più e meglio cementificato, anzi all´epoca il cemento non esisteva e quindi diciamo più semplicemente fortificato, per proteggere non tanto la città ma quanti vi alloggiavano in periodi di turbolenza politica vale a dire papi e loro servitori. Opera romana consolidata successivamente con il contributo di architetti dediti a fortificazioni militari quali la famiglia dei Sangallo, famosi per altre mostrose fortificazioni nel Viterbese, una fra tutte Civita Castellana. I papi Paolo III, Paolo IV, Clemente IX trasformarono pertanto l´antico Mausoleo di Adriano in un fortino multi uso in grado di ospitare stanze papali, luoghi di carcerazioni ed espiazione (fra tutti Tommaso Campanella e Giordano Bruno), unitamente a micidiali bocche di fuoco circondate da una cinta bastionale pentagonale.
Questo è il contesto e la location della mostra che si snoda in tre diverse offerte di tematiche. La prima "Roma Sancta, il recupero delle origini", la seconda "I grandi Giubilei", la terza "Arte e Devozioni", sicuramente quest´ultima la più ricca di dipinti.
Ci dedicheremo in questo primo articolo ai dipinti realizzati nell´arco temporale dei primi due giubilei, trattati nella mostra, contestualizzandoli con il momento storico nei quali furono prodotti, con un sguardo accattivante anche la Giubileo del 1525 cioè al Giubileo che precedette l´apertura del Concilio di Trento e di cui la mostra non tratta. L´interesse per questo giubileo non presente nella mostra, ed a torto, non poté non influenzare il Concilio di Trento, né esserne influenzato come il successivo giubileo del 1550 tenutosi nel pieno svolgimento del Concilio di Trento, perché in essi e nei successivi ci sono tutti i sintomi della volontà di restaurazione della Chiesa, e quindi della "Speranza", evocata nella mostra e portata avanti dai papi o dalle famiglie nobiliari, e patrizie che risiedevano in Roma le quali, anche attraverso l´arte, mostrarono o cercarono di mostrare il ritorno di Roma quale centro "assoluto della Cristianesimo", della novità nelle creazioni artistiche, che si stavano opacizzando in un "devozionale non in linea con la purezza dell´origini della Chiesa, e perché no con il ruolo svolto dalla Chiesa nelle vicende legate alla politica internazionale. Immaginiamoci pertanto la mostra, attraverso una difficile opera di vivisezione delle tre tematiche in essa presenti, partendo come detto dal Giubileo del 1225 peraltro non presente nella mostra, altrimenti poco si capisce perché si sia voluto organizzare un evento con il titolo forse troppo ambizioso dei "papi della Speranza"
Clemente VII aprì nel dicembre 1224 l´anno Santo, (gli anni Santi normalmente si svolgono ogni venticinque anni). Tommaso Maria Alfani in merito osservava "Fu intorbulato questo anno Santo dall´ampia eresia di Martin Lutero la quale uscita nel 1527, tentava di abbattere le Indulgenze col vano pretesto dell´abuso che si faceva".
L´introduzione è storicamente ineccepibile perché l´anno Santo era stato preceduto da controversie religiose di non poco conto, bollate evidentemente come eretiche, le quali mettevano in discussione il primato del Papa di Roma e le modalità più o meno condivisibili con le quali venivano celebrati i Giubilei. Martin Lutero molto attivo fin dall´inizio secolo, nel 1517 aveva affisso alla Porta della cattedrale di Wittemberg le sue 95 tesi contro le indulgenze (Desputatio pro declaratione virtutis indulgentiorum), e la mondanità della Chiesa, mondanità che sconfinava nella scelleratezza (tesi a lui care e non prive di riscontri). Con un atto mediatico ma carico di significato nel 1520 bruciava pubblicamente la bolla papale "Ex surge Domine" la quale confutava gran parte delle tesi Luterane. Ma della teoria Luterana evidentemente non preoccupavano tanto le abiure contro le modalità di svolgimento dei giubilei, quanto la messa in discussione di vari dogmi dalla infallibilità del papa, sino all´interpretazione delle sacre scritture, alla rivisitazione di alcuni sacramenti non ultimo il matrimonio, il celibato etc. Una vera rivoluzione nata in Sassonia ma diffusasi in tutto il resto dell´Europa del Nord con inevitabili ricadute di ordine socio-culturali e quindi economiche dando spunto al malcontento generalizzato della gente comune che percepiva a livello di miseria, ma non ancora con una elaborazione strutturale, quanto Roma e i suoi papi, unitamente ai regnanti da essi promossi o indicati, o meglio imposti, il reale motivo delle loro sofferenze umane.
Quindi sommosse, insurrezioni di cui forse lo stesso Lutero non poteva immaginare che le tesi da lui esposte potessero essere dirompenti in un tessuto sociale assolutistico e cristallizzato dove l´ingiustizia e la povertà la facevano da padrona.
Sommosse alle quali ne seguiranno tante altre avendo Lutero lanciato un seme che fece emergere un poderoso esercito di intellettuali sempre più insofferenti sia alla disciplina di Roma, sia all´emarginazione di popolazioni che lentamente stavano prendendo atto all´ignominia della loro condizione.
Papato che incominciava ad avvertire come non fosse più il centro politico delle mediazioni nei conflitti europei, papato spogliato del suo ruolo di "polo aggregante" nel quale si dissertava o si legiferava in materia di fede (le famose Bolle), ma anche e comunque in ogni aspetto della vita quotidiana. I sudditi, seppur sollecitati, si ingraziavano la Chiesa attraverso lasciti, donazioni, liberalità o quant´altro. Erano oboli per la liberazione dai peccati veri o presunti in cambio di indulgenze di cui ancora troviamo testimonianza nelle chiese sparse per Roma. Se non erano indulgenze erano favori che accrescevano il "latifondismo" dei donanti o la loro appartenenza a classi sociali più elevate.
Spaziamo quindi da papa Clemente VII a Paolo III a Giulio III a Marcello II a Paolo IV a Pio V (dal 1523 fino al 1575), per arrivare ai papi del Giubileo di cui alla "Mostra i papi della Speranza" e precisamente Gregorio XIII, Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV, Innocenzo IX, Clemente VIII, Leone XI, Paolo V, Gregorio XV, Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII, Clemente IX (in un arco dal 1575 al 1669).
Tra le varie successioni, come visto, l´eresia professata o divulgata o altre vicende socio economiche, culturali, e dinastiche nel periodo antecedente "I papi della speranza", avevano portato alla messa al bando di Martin Lutero da parte di Carlo V ed alla elezione dei papi Adriano VI e di Clemente VII ed al contempo a rivolte contadine in Germania ed in altri stati europei, il tutto in un contesto nel quale Spagna, Francia ed i Germano-Asburgo riassettavano i propri confini europei.
Era il periodo nel quale più che i papi erano i sovrani, i quali più o meno strumentalmente legati alla Chiesa di Roma, cominciarono a perseguitare gli eretici a loro uso e consumo. I papi più che protagonisti erano spettatori di una conflittualità più socio economica che dogmatica.
La debolezza del papato raggiunse il suo massimo punto di testimonianza con il "sacco di Roma", ad opera dei Lanzichenecchi, sfuggiti pare di mano a Carlo V persecutore in Europa non solo dei Luterani, ma anche dei Turchi presenti nell´est dell´Europa e gli stessi abitanti dell´est non ancora cristianizzati (per tutta la Battaglia di Lepanto).
Tanto era la sua potenza e quella della sua dinastia creata e rafforzata da una serie infinita ma "mirata" di vincoli matrimoniali che addirittura venne incoronato imperatore da papa Clemente VII dopo aver per altro servito molti papi alle prese con problemi finanziari ed inadeguati a combattere il riformismo eretico con deriva classista, quale Leone X e Adriano VII.
La predetta "Speranza", nel periodo di cui si è trattato fino adesso non aleggiava nelle sale della mostra e quindi non aiutava a capire, né il significato dei "papi della Speranza" né tantomeno il significato o la rappresentazione detta "speranza". È di scarso ausilio, erano peraltro i pochissimi guardiani o accompagnatori presenti in tutto l´arco della mostra o nel tragitto che portava alla mostra. Tragitto per altro del tutto inagevole in quanto carente sia nelle indicazioni, sia per i disabili. Un brutto ed immediato impatto salvo che con il piccolo accesso alla mostra, ma d´altronde la stessa è stata allestita come visto, in un forte. Si era peraltro confortati nell´accesso alla mostra dalla splendida presenza nel cortile di un angelo in marmo con le ali di bronzo opera di Raffaele di Montelupo.
All´angusto ingresso troviamo il primo dipinto di Bartolomeo Passerotto. Il dipinto già di per stesso, di interesse artistico per la buona fattura nelle proporzioni tra soggetto ed oggetto (figura 2), nella mano sinistra mostra con sguardo inquisitorio il libro "Clypeus militantis ecclesiae". Il ritratto è di tale Maiorano noto quale inflessibile teologo accreditato presso il Concilio di Trento.
Il suo manoscritto era invero un epitaffio contro l´eresia da una parte e dall´altra una lezione sul come rapportarsi correttamente a Dio. Un ortodosso cattolico, un assolutista che ben si conciliava con ciò che uscirà dal Concilio di Trento.
Il ritratto di Maiorano unitamente al ritratto ad opera del Caravaggio raffigurante o Benedetto Giustiniani o Cesare Baroni, ben rappresentano cosa voleva, perlomeno in parte, significare la parola "i papi della Speranza" con la quale si apre la mostra attraverso la narrazione del giubileo del 1575. Speranza nella ricerca delle origini della fede, delle interpretazioni dei vangeli secondo la teologia di Roma, il non concedere nella deviazione dal Credo Ufficiale, ma al contempo negazione di qualsiasi forma di deviazionismo dai dogmi della fede originari, né al contempo alcuna giustificazione per qualsiasi lassismo che poteva liberarsi nelle menti e nel corpo che avevano permeato la Chiesa prima del Giubileo del 500 e prima del Concilio di Trento, senza nulla concedere. Nessuna concessione per altro poteva essere fatta ai comportamenti miserevoli di tanti rappresentanti della Chiesa, anche sotto forma di carnevalate, espressioni d´arte improprie, per finire, meno che mai, ad opinioni o suggestioni che potevano nascere dalla messa in discussione dei sacramenti e della figura del papa. In una parola, tutto ciò che non era strettamente codificato dai teologi di stretta osservanza cattolica vuoi nell´interpretare i Testi Sacri, vuoi nell´inibire ogni stile di vita frutto del male, quindi "dell´eresia".
Questa è la "Speranza" che i papi successivi esteriorizzeranno attraverso la ricostruzione di Roma, l´amore per l´arte non più solo devozionale ma possibilmente in armonia con il "bello", e pertanto ricca di colore, di significativi richiami ai sacri vangeli e quindi all´unica "verità possibile". In tal senso la predicazione e le indicazioni di "vita" frutto dell´opera di Filippo Neri e di Carlo Borromeo sono una chiara e netta dimostrazione del nuovo corso, quindi della speranza. Ne parleremo nella "seconda parte".
Andando oltre, osserviamo una serie di dipinti opera di autori dell´Italia centrale. Troviamo Santa Caterina che porge le labbra al costato di Gesù con in basso la figura del probabile committente in preghiera, opera "olio su tela" di Giovanni de Vecchi di San Sepolcro (figura 3), e la Madonna spinta da una nuvola in cielo con in basso sempre S. Caterina da Siena e San Bernardino da Siena (tempera su tavola) di Durante Alberti, anch´esso di San Sepolcro (figura 4).
Segue l´opera di un artista marchigiano Andrea Lilli o Lilio che porta in un dipinto, olio su tela, la narrazione di Anania caduta a terra, di Saffira la quale probabilmente prende coscienza dell´errore insito nell´aver impropriamente richiamato lo Spirito Santo, mentre sulla sinistra S. Pietro ha un atteggiamento di condanna, con la mano destra sollevata verso il cielo. Dall´altro lato un altro uomo che probabilmente prende atto e ammonisce Saffira la menzoniera (figura 5). Sono tutti dipinti nello stile abbastanza essenziali, essenzialità peraltro tipica dei pittori del Centro Italia ai quali interessava soprattutto fornire un messaggio diretto, e quanto mai preciso su temi dell´ortodossia cattolica. Anche i colori dei dipinti risultano sommessi, sicuramente non forniscono "un messaggio di vita".
Sono dipinti scolastici, dove non vi è traccia o sfondi di paesaggi, di natura, di qualsiasi cosa che ci avvicini al quotidiano. Ripeto questa è la pittura del centro Italia da Città della Pieve o meglio dalle sponde del Trasimeno fino all´Adriatico, con qualche rara eccezione chiamasi il Crivelli, Gentile da Fabriano, Paolo da Visso e lo stesso Lotto quando spaziava per le Marche, seppur dipinti antecedenti a quelli citati. Per non parlare del Salimbeni e del De Dominicis di Calderola.
Questo è quanto offriva l´Appennino umbro marchigiano ed in parte quello Toscano che guardava al centro dell´Italia.
Ho volutamente tralasciato Città del Pieve per non fare torto al Perugino ed alle apparizioni del Pontorno, anch´esse peraltro di periodi antecendenti.
La mostra prosegue proponendoci due dipinti sempre di autori del centro Italia ma con mano e senso cromatico del tutto differenti, come differente è la luce dei personaggi ivi rappresentati. Parliamo della Resurrezione di Lazzaro del Cavalier d´Arpino (figura 6) e di Santa Cecilia con l´Angelo (figura 7) di Orazio Gentileschi.
La tela del Cavalier d´Arpino mostra il Cristo che indica ai presenti il suo potere salvifico, resuscitando il Lazzaro. Sullo sfondo troviamo finalmente un qualche riferimento alla Roma imperiale.
Non c´è contraddizione con il nuovo corso della Chiesa della Speranza, la quale seppur attenta al messaggio che le tele dovevano diffondere, non era contraria, sempreché ciò non scalfisse la scena principale, il richiamo allo splendore ed alla grandezza di Roma imperiale seppur pagana.
In questo la mostra è assolutamente coerente laddove annuncia che i papi dei giubilei da metà o fine cinquecento fino a metà seicento pur attenti alle tematiche del Concilio di Trento, tanto si adoperavano per far risorgere Roma quale città di Pietro che all´ortodossia sapeva ben coniugare la ricerca del bello, incentivando l´urbanistica, la sanatoria di interi borghi o quartieri, il rinascere dell´arte nella sue varie forme, la loro internalizzazione, l´esplosione del sapere, il dialogare. In una parola la Chiesa di Roma dopo tante umiliazioni doveva rinascere nell´antico splendore, doveva essere il centro dell´universo nel quale la religiosità coniugata all´ortodossia era l´unico motore per poter produrre il cambiamento con strumenti che l´epoca offriva, una forma di comunicazione micidiale che anche nell´arte trovava la sua espressione. Ecco perché la parola "Speranza" rispolvera i fasti dell´antica Roma sede del papato per elezione di Pietro.
Tornando al dipinto del Gentileschi la fanciulla raffigura una Santa Cecilia piena di luce, vestita con grazia ed accuratezza direi laica, con una stupenda ghirlanda di fiori. Ma forse il Gentileschi aveva un po´ esagerato ed ecco che la figura di Santa Cecilia si arricchisce di una corona e lo sguardo viene rivolto in basso. Le mani affusolatissime si pongono su una pianola e di fronte la conforta un angelo che regge lo spartito.
Di notevole interesse è l´altra Santa Cecilia (figura 8) in cui Simon Vouet pittore sicuramente cristiano vissuto a lungo a Roma, propone la Santa in modo alquanto diverso, lo sguardo non è sommesso è uno sguardo di "Speranza" su un corpo generoso in un tripudio di stupendi colori, il cui cromatismo ricorda i pittori veneti. Non c´è traccia di cupismo solo espressione di gioia con una mano tesa verso lo strumento musicale ed un´altra con una lettera. Lo sguardo volto in alto al divino e la lettera o lo spartito, fanno presumere che la gaietà del pittore abbiano per un attimo indugiato comunque a tematiche care all´ortodossia della controriforma o alla Speranza. Tanto colore e tanta bellezza espressa dalla Santa trovano un altro limite nelle nubi che però non sono fosche e comunque nulla tolgono alla stupenda lucentezza del dipinto.
La mostra ci ricorda d´altronde che lo stesso messaggio portato dagli innumerevoli pellegrini ai Giubilei era non solo di fede ma anche di vita seppur canonizzata.
In cambio citiamo l´attenzione verso gli stessi, i quali nei vari giubilei citati nella mostra giungevano in ben 500 mila unità su una popolazione quella romana che non superava i 200 mila abitanti. Attenzione delegata a pie istituzioni o confraternite che si prodigavano per fornire agli stessi il massimo dell´attenzione caritatevole.
Una di queste l´arciconfraternita del Gonfalone è presente alla mostra con il proprio simbolo riportato sul Libro degli anniversari (figura 9). Simbolo nel quale compare la Madonna che apre il proprio mantello per far posto a uomini inginocchiati vestiti di saio ed incappucciati. Il tutto con un contorno coloratissimo con fiori dal blu al rosso non chiusi ma sbocciati con varie bacche messe in ordine a magnificare tante, tantissime croci.
Giunto al termine il commento alla prima parte della visita, seguirà un altro articolo che prenderà soprattutto spunto dai dipinti che ritraggono Filippo Neri e Carlo Borromeo, per evidenziare, tra l´altro l´opera degli stessi nel campo dell´istruzione e della diffusione del messaggio o dei messaggi della Controriforma del Concilio di Trento.

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